04 agosto 2008

Da Sound&lite n.73 luglio/agosto 2008

Disperatamente (e in ritardo cane)
di Giancarlo Messina
Edito da Mondadori il primo romanzo di Sergio Caputo. Da non perdere.

I nostri più affezionati lettori ricorderanno Sergio Caputo non solo per le sue canzoni, di gran successo negli anni Ottanta, ma anche per la sua rubrica “Questo business della musica”, assolutamente imperdibile, pubblicata anni fa sulle nostre pagine.
Vi svelo un vero segreto: sebbene assenti dal nostro sito ufficiale, quelle pagine sono ancora reperibili all’indirizzo occulto “www. soundlite. it/articoli”, andatevele a leggere ma non spargete troppo la voce...
A dire il vero, ho sempre trovato geniale e straordinariamente brillante il Caputo autore, qualità di cui ho avuto conferma con l’uscita di questo suo primo romanzo "Disperatamente (e in ritardo cane)", il cui titolo sembra riferirsi alla vita stessa del protagonista Max Paisani, alter ego molto prossimo all’autore.
In effetti nel libro realtà romanzata ed autobiografismo si intrecciano ad arte, lungo un crinale che solo Sergio conosce; anzi: uno dei principali divertimenti del lettore è proprio cercare di capire dove comincia uno e finisce l’altra.
La bellezza del romanzo non è tanto nella trama, paradossale e divertente ma piuttosto esile, bensì nella narrazione stessa, nel linguaggio, nelle finestre aperte sul mondo visto da questa ex pop-star di mezza età in crisi matrimoniale, a cui il futuro riserva ancora sorprese. E che sorprese!
Chi nella propria vita ha letto più di un libro (Pagine Gialle escluse) sa che le sequenze narrative danno ritmo alla narrazione, quelle descrittive la rallentano, pur creando atmosfera e conferendole colore e sapore. Nella letteratura contemporanea si assiste normalmente a due fenomeni: o le parti descrittive vengono quasi del tutto evitate, con risultati schizofrenici, o vi si indugia con fare intellettuale, con risultati anestetizzanti. Solo i migliori sono capaci di scrivere affascinanti sequenze descrittive. Sergio Caputo, seppur abbia praticato fin adesso un altro mestiere, è uno di questi. Trovo infatti che il suo porre l’attenzione su oggetti apparentemente insignificanti (come una “natura morta con secchio”), su profumi ed odori insolitamente noti, con l’attenzione estranea ed ironica di chi dovrebbe trovarsi da un’altra parte, sia l’aspetto più riuscito del libro. Innanzitutto perché è piacevolissimo leggere queste sequenze descrittive, e poi perché esse non sono gratuite e fini a se stesse, ma quasi simbolo dello sguardo dell’autore sul mondo e sulla vita.
Lo stile è quello dei migliori testi di Sergio: “sensi di colpa alcolici” o “un sorriso made in California (dentisticamente parlando)” oppure “un corridoio irregolare e psicotico” sono proprio un marchio di fabbrica, e possedere uno stile riconoscibile è già un obiettivo fondamentale per qualsiasi scrittore.
Non mancano poi neologismi, come “vippaglia” o “scoopologo”, lo stesso averbio “dentisticamente” e molti altri: alcuni sono molto azzeccati, tutti molto divertenti.
Nulla svelo della trama, lasciandovi il piacere della lettura, ma certamente il coup de théâtre che chiude il romanzo in una sorta di turn-around, lascia più divertiti che sbigottiti. Almeno per i primi 30 secondi.
Ma sono altri mille gli aspetti presenti nel libro di cui occorrerebbe parlare, a cominciare da quello periegetico (come direbbero quelli che sanno scrivere difficile), buono per il mercato americano, con una Roma proprio come gli americani immaginano.
Un consiglio da uno che inizia a leggere molti libri e (nauseato) ne finisce pochi: questo l’ho letto due volte: mettetelo nella lista delle più urgenti cose da fare: una bella lettura è più importante della solita prosa in cui viviamo.